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EraS Perani                                                                                                                about me

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                                                                 dicembre 2017 - intervista di Lucy Franco

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Fantasia, sperimentalismo, ironia, ma anche malinconia, e visione assolutamente inconfondibile, pure nella ecletticità dello stile e della sua espressività.
Lo riconosciamo da ogni singola immagine, inanellata spesso in progetti ben definiti, all’interno dei quali c’è ampio spazio per ammirare come sia possibile declinare in infiniti modi un tema, sempre validi, sempre sorprendenti.
Parliamo di Eras Perani, fotografo dallo spirito creativo originale, modellato sulla sua solida cultura fotografica e sulla tecnica che sorregge anche ogni più piccolo divertissement visivo che negli anni ha condiviso con noi.
E più di tutto parliamo della passione di Eras che è assoluta, per la fotografia, e che si manifesta anche nell'organizzare innumerevoli eventi con l’associazione culturale ImagoMentis : non ultimo “Io Voglio Vivere – qualcuno mi prenda per mano” che raccoglie 68 fotografie di 16 fotografi per affrontare un problema molto serio che sono i DCA o Disfunzioni del Comportamento Alimentare.
“Amianto, il male che non scompare” che affronta un tema del “mesotelioma” di cui si parla troppo poco e Re di Picche sul problema del gioco d’azzardo.

E ancora nel promuovere, a cadenza annuale   la Mostra collettiva Misfotos

 

D  E partiamo proprio da questo: come nasce Misfotos?  Quali obiettivi si propone?

  Innanzi tutto Grazie, farmi parlare di fotografia, cara Lucy, è vincere facile. Misfotos, che purtroppo quest’anno non ha avuto la sua edizione in quanto sono in corso i restauri del chiostro della Ripa, nasce da un esigenza che sentivo e sento tutt'ora da parte dei fotografi, e non solo, di avere uno spazio/evento dove la prima richiesta che si sentono fare non siano i soldi, anzi, noi a Misfotos di soldi non ne vogliamo proprio sentir parlare. Senza essere venali, è frustrante quando la tua passione, arte, o come la si voglia chiamare è presa in considerazione solo quando vendi. Come vedi, Misfotos è nata più per uno sfogo di rabbia che per motivi “filosofici”.

Non è un evento a cui possono partecipare tutti, è solo su invito, così facendo cerco di creare una finestra il più ampia possibile su quello che la fotografia offre.

Il Convento della Ripa è stato edificato nella seconda metà del XV secolo a Desenzano di Albino. Il complesso è formato da un convento e da due chiese che appartennero all’ordine carmelitano.                La Cooperativa “La Fenice”, proprietaria del sito, ci mette a disposizione gratuitamente il chiostro per questo evento.

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  C’è stato un momento, un fatto, un pensiero, una ispirazione o un maestro che ha influenzato la tua storia come fotografo?

  Non so rispondere a questa domanda. Sicuramente qualcuno c’è stato ma ho l’abitudine di guardare avanti e non indietro. Non ti saprei assolutamente dire chi ma posso dirti cosa. Certamente la storia della fotografia con i suoi protagonisti ha influenzato, sarebbe assurdo pensare il contrario, citare grandi nomi non avrebbe però molto senso, la tua rubrica richiederebbe molto più spazio perché li dovrei elencare tutti. A proposito di cosa invece, mi piace guardare avanti e cercare, continuare a cercare e cercare ancora, anche nelle cose più piccole e insignificanti, delle idee per farne progetti o storie. Ecco, forse il momento è stato quando mi son reso conto che il mio modo di fotografare era raccontando delle storie, alcune volte serie, altre volte surreali e altre ancora solo storie.

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 Dice Oliviero Toscani: “Oggi è molto più facile fotografare che parlare. La fotografia sta diventando un’espressione dalla quale dipendiamo e dalla quale facciamo dipendere gli altri. Ci esprimiamo con le immagini, le nostre opinioni si formano con le immagini. Vediamo tutti la stessa identica immagine e abbiamo tutti un’opinione diversa, non è incredibile? Allora bisogna andare a scuola per imparare a fare le immagini e, soprattutto, per imparare a leggerle” Pensi che la fotografia abbia oggi un primato che fino al boom dei social non aveva? E se così fosse la fotografia è davvero un alfabeto che tutti sono in grado di formulare?

 Toscani qualche volta dice cose quasi giuste, questa è una di quelle anche se non fa altro che ripetere, in modo diverso, quello che altri già sostenevano qualche annetto fa. Non mi trova d’accordo quando sostiene che vediamo tutti la stessa immagine, non è affatto vero, la vediamo solo quando è stampata su carta, purtroppo non ci è più dato di leggere sfogliando ma siamo tutti a controllare smartphone etc etc, quello che vediamo sul nostro monitor è del tutto personale, cambiano cromie, tonalità, cambia tutto e, nessuno di noi vede la stessa immagine, nessuno di noi percepisce lo stesso “messaggio”, nessuno di noi parla la stessa lingua.
Tornando alla tua domanda, a malincuore devo dar ragione a Toscani, dobbiamo imparare a leggere … e con le premesse di cui sopra, siamo messi maluccio.

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  C’è una parola chiave che si ripete come mood nel tuo modo di fare fotografie?

   Deve esserci, non avrebbe senso diversamente, nel mio caso sono due “progetto” e “sperimentazione”.
Se non ho un “progetto” non riesco a fotografare. Sparare nel mucchio per poi ritrovarmi a guardare delle fotografie senza senso, non ha senso. Come dicevo prima, quando fotografo, sento il bisogno di raccontare qualcosa, qualsiasi cosa, non ha importanza se seria o banale, l’importante per me è raccontare. Considerando poi che la fotografia è un modo di raccontarsi, la mia è una sequenza infinita di selfie.
Sperimentare è un altro aspetto che mi piace, per la verità c’è veramente poco da sperimentare, ormai tutti hanno sperimentato tutto e molti continuano a sperimentare il già sperimentato però qualcosa ci si inventa sempre. La maggior parte degli esperimenti cadono nel vuoto e nell’oblio della bruttura e della banalità ma mi dico sempre che se non provo non potrò mai sapere.

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  Spesso nelle tue fotografie c’è la campagna, lo spazio disabitato: perché è un tuo protagonista?  E’ un territorio per perdersi o per ritrovarsi?

   Sono sostanzialmente un visionario, nella mia campagna, o meglio, nei miei spazi vuoti, mi ci immergo e mi immagino altri mondi, un po’ quello che vorrei sentisse chi guarda le mie fotografie. Cerco sempre di evidenziare quello che non c’è, immaginare quello che vorrei che fosse. Mi faccio sempre una domanda quando fotografo: “come vorresti che fosse quello che vedi nel mirino?” ergo: inventati qualcosa.
Credo comunque che siano entrambe le cose, un territorio per perdersi e per ritrovarsi, pertanto protagonista a prescindere.

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  Le tue immagini raccontano di una persona complessa e semplice allo stesso tempo, dotata di sensibilità e personalità che inevitabilmente si specchiano nei tuoi lavori. Ma c’è un “segnale”, una caratteristica che, in mezzo ai molti scatti che probabilmente realizzi in una sessione, ti fa individuare proprio “quella “fotografia come “tua”?

   Raramente faccio delle sessioni e raramente faccio “molti scatti”, non sono un tipo da studio, cavalletto e luci, sono più “sanguigno”. Comunque, come dicevo prima, cerco di evidenziare quello che non c’è, cerco di togliere il più possibile, il superfluo, lasciando quel vuoto indispensabile a porsi le domande necessarie, non voglio che chi guarda le mie fotografie abbiano la stessa sensazione, il mio desiderio è trasmettere una sensazione diversa a ognuno che non necessariamente deve essere una bella sensazione.

 

  E quando invece consideri una foto una “buona “foto?

  Una mia foto mai, trovo sempre qualcosa che non va. In generale considero una foto “buona” quando la leggo immediatamente, indipendentemente dal tipo di fotografia.

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  Bombardati come siamo da milioni di immagini che ci aspettano dietro l’angolo, dalla tv, dai giornali e dal computer, per non parlare degli smartphone, ha ancora senso oggi organizzare una mostra per condividere le proprie fotografie? E se si, quanta importanza ha in questa manifestazione del proprio lavoro la stampa di una immagine?

   Per un certo verso hai ragione, siamo bombardati dalle immagini ma, se ci riflettiamo, anche 100 anni fa era la stessa cosa, sono i nostri occhi che “vedono” e vedono allo stesso modo ieri come oggi, ciò che è cambiato e la percezione che la nostra mente ha, il condizionamento che ne riceve, torniamo a ciò che dice Toscani, dobbiamo essere educati alla lettura.
Organizzare una mostra ha più senso oggi che qualche anno fa proprio per quanto si diceva prima, educare alla lettura, imparare a leggere, non lo si fa con internet o in modo virtuale, si fa visitando mostre, andando nei musei, leggendo, parlando e, cosa molto importante, confrontandosi con gli altri e con se stessi.
La stampa, quella cosa meravigliosa. Dovrebbe essere sufficiente come risposta ma voglio precisare due cose:

  1. Una foto stampata non corre il pericolo di essere “fraintesa” i colori, i grigi, i neri profondi … sono per tutti uguali, cosa che non succede in una proiezione o sul web.

  2. I files non sono eterni, stampare le proprie fotografie è anche un’opera di salvaguardia.

 

 C’è un argomento di cui è difficile farti parlare: i premi (non pochi) che hanno vinto le tue fotografie. Raccontaci almeno di quella volta che ... ti ha fatto particolarmente piacere ricevere quel riconoscimento.

  Non sono avvezzo a parlare di queste cose e preferisco passare oltre.

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  In quale delle tue fotografie e/o progetti ti identifichi maggiormente?

   Normalmente mi verrebbe da dire nel prossimo da fare ma, se proprio dovessi scegliere una fotografia sceglierei Abbey Road, parte del progetto “panorami italiani”. Credo sia la sintesi perfetta del mio modo di vedere quello che non c’è.

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  Il tuo prossimo progetto in agenda?

   Memory, un lavoro sui luoghi persi che ho in corso da tempo e che tu parzialmente conosci, per il resto ne ho più di cinquanta in corso d’opera, pensare al prossimo non mi rende la vita facile. Ovviamente scherzavo ma non troppo, io ho veramente tutti questi progetti in corso, anche di più, mi rende facile fotografare. Quando sono in giro, avendo ben chiari i miei progetti, non faccio fatica a trovare ciò che cerco, diversamente da chi cerca senza sapere cosa.
Se parliamo invece di imagoMentis c’è qualche idea in corso ma ancora non ben definita.

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 "COLLIMAZIONI"                                                            di Beatrice Moroni

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HOLOGRAM                                                                                                di Nicola Andrioletti

 

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                                                                  dicembre 2015

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“HOLOGRAM” a Albino (BG), in mostra il progetto fotografico di Eras Perani sulle immagini in contaminazione di altre immagini.

Eras Perani è un nostro amico da molti anni, assiduo nella sua ricerca nel concept fotografico, che si sostanzia in progetti: l’idea alla base è tracciare un percorso visivo che accompagni l’osservatore verso l’interpretazione di un argomento, indicandogli possibili sviluppi visivi sempre nella cifra stilistica poetica e sapiente che è propria e inconfondibile di Eras.
Quello che presenta alla Biblioteca di Albino dal 19 Dicembre al 9 Gennaio 2016 è il risultato di un lavoro sviluppato lungo tre anni, sull’immagine realizzata usando altre immagini.
“hologram” è il titolo della mostra che riporta anche ad un pensiero di Eras: “Henri Cartier-Bresson sosteneva che la fotografia è un’azione immediata … non sono d’accordo, la fotografia è e deve essere un’azione “pensata”, la fotografia è un ologramma creato dalla mente.”

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                                                         di Stefania Burnelli

"Arte come Resistenza"
Convegno e mostra alla Chiesa della Maddalena (Bg

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IL CONTEMPORANEO NELL’ARTE: ARTISTI CONTEMPORANEI IN ITALIA

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EraS PERANI

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L’essenza dentro la forma

L’arte contemporanea italiana nella sua vasta e complessa varietà di forme e manifestazioni ci presenta diverse realtà espressive che la caratterizzano donandole un'impronta specifica.
Inserita in questo contesto troviamo l’opera di EraS Perani, che con la sua poetica profonda, ci conduce dentro la parte nascosta di un "Io" in continua e costante evoluzione, che si concretizza in immagini. In questo modo l'artista si muove nel tentativo di svelare i suoi pensieri. Le sue visioni, sensazioni, percezioni, entrano con forza negli scatti che ci presenta. Le luci, le ombre, narrano un universo sensibile che viene rivelato con lirismo poetico. Le opere di Perani, inducono a riflettere sulla parte più sensibile delle cose, l’essenza che è dentro la forma e che a volte sfugge all'osservazione diretta, ma che ne rappresenta la vera sostanza.

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                                                        11 marzo 2014

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11 marzo 2004: memoriale fotografico per ricordare le vittime della strage di Madrid

L'11 marzo 2004 il più grande attentato terroristico su suolo europeo, nonché il primo dopo l'11 settembre. Oggi un progetto che ha coinvolto 192 fotografi dà voce a quelle vittime. L'associazione ha anche organizzato un flash mob in piazza Navona, a Roma, e le immagini saranno esposte in una mostra prima a Roma e poi a Madrid.

di Laura Montanari

 

UN NOME e un cognome scritto su un foglietto, su una mano, sul vetro di un finestrino, su uno spazio bianco, un binario, un treno fermo: negli stessi posti in cui c'era una vita. C'è una fotografia in bianco e nero per ogni caduto delle stazioni di Madrid a ricordarci che 192 non è soltanto un numero nella memoria, ma un insieme di destini che passavano a caso troppo vicini a quei dieci zaini pieni di esplosivo, messi su quattro treni regionali di passaggio. Atocha, El Pozo del Tío Raimundo e la stazione di Santa Eugenia, sangue e ferite.

Era la mattina dell'11 marzo di dieci anni fa, in Spagna. "Projet 192" è un album di fotografie scattate a distanza (una distanza che è geografica e di tempo). Raccontano tutte la stessa cosa: l'assenza. Gli scatti sono firmati da 192 fotografi di varie nazionalità: soprattutto italiani, ma anche filippini, turchi, indiani, canadesi, francesi, portoghesi, inglesi tedeschi, spagnoli. Ciro Prota, fotografo napoletano che vive a Parigi ha lanciato l'idea un anno fa e, tramite Facebook, ha raccolto le adesioni. Unica condizione: l'uso del bianco e nero e il formato (30 per 30 e 30 per 45).

A ciascuno è stato assegnato il nome di una vittima e ciascuno ha raccontato quell'assenza come la vedeva: attraverso un vetro appannato, un paio di ballerine lasciate sulla terra nera della ferrovia, un bagaglio dimenticato, una panchina con qualcuno che aspetta. Il progetto è nato nel 2013 e hanno aderito sia fotografi professionisti, sia non professionisti. Fra i primi ci sono Francesco Cito, Virgilio Fidanza, Luca Forno, Sara Munari tanto per citare qualche nome. Tutti hanno partecipato gratuitamente al progetto che prende il nome dal numero delle vittime, "Projet 192", anche se nelle iniziative per il decimo anniversario si aggiungerà una foto in più: nel bilancio definitivo infatti le associazioni dei familiari ne hanno riconosciute 193 perché, pochi giorni dopo gli attentati, una donna incinta rimasta ferita, per lo shock ha abortito.

Il risultato è un doloroso mosaico collettivo sulla memoria e su quelle vite perse. Kalina che dalla Bulgaria era arrivata in Spagna per lavorare al desk di un albergo, Francisco Rogriguez il sindacalista ricordato con un cappello per terra, Begona che aveva 25 anni ed era figlia unica e molti altri. Un mazzo di rose con boccioli caduti e un uomo di spalle sono, per esempio, la fotografia dedicata a Begona Martin. Per Carlos, invece lo scatto è il suo nome scritto su un tronco accanto a un uomo che aspetta sotto la massicciata. E poi vagoni, stazioni, valigie, orologi. Dettagli evocativi: "Io avevo Sanae - spiega Eras Perani, uno dei fotografi che a Roma ha organizzato il flash mob in piazza Navona - era una ragazzina di 13 anni morta nella strage terroristica. Ho fotografato un'altra tredicenne che cede il suo biglietto del treno, come a dire: non parto, non mi presento all'appuntamento con la morte"
Una fotografia per ogni vittima, uno scatto contro l'amnesia inesorabile del tempo: diventerà presto un libro, Projet 192 e una mostra itinerante, per non dimenticare.

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                                                                                   11 marzo 2014

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Dieci anni fa la strage di Madrid, 192 foto per non dimenticare

Dieci anni fa, la mattina dell’11 marzo del 2004, dieci bombe sono esplose a bordo di quattro treni di pendolari diretti alle stazioni di Madrid. Un gravissimo attentato terroristico, che ha fatto 192 morti e duemila feriti. A bordo dei convogli colpiti c’erano operai, impiegati, studenti di tredici diverse nazionalità. A distanza di dieci anni dall’evento, 192 fotografi hanno celebrato le vittime della strage con un singolare omaggio. Ogni fotografo ha scelto il nome di una vittima e lo ha inserito sullo sfondo di un ambiente ferroviario, realizzando uno scatto unico, di forte impatto emotivo. L’iniziativa è stata battezzata “Projet 192” e le foto sono state presentate a Roma martedì 11 marzo in un’iniziativa pubblica in Piazza Navona con una performance collettiva. «Un omaggio» dice Ciro Prota, ideatore della rassegna «alle vittime spagnole, quelle che non ci sono più e quelle rimaste. Una condivisione di un’idea, una condivisione di sentimenti espressa fotograficamente, per non dimenticare e per rendere immortale chi non c’è più. È nato tutto da una mia idea di 7 anni fa, poi accantonata per altre esigenze di vita. Una sera, un appello in diverse lingue su un social network, cercavo 192 fotografi per un progetto fotografico ed editoriale. In dieci giorni circa 200 fotografi erano entusiasti di parteciparvi. Dopo tre mesi di duro lavoro, ne è nato un libro elettronico, un video e il grande evento a Roma». Il catalogo completo delle fotografie è visibile sul sito www.projet192.org.

di Gianmarco Vetrano

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                                                    10 marzo 2014 di G.B. Gherardi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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                                        8 marzo 2014 di Nicola Andreoletti

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04 febbraio 2014

la malinconia dei numeri

 

Oltre le polarità della luce e dell’oscurità, dell’ordine e del caos, si trova il regno della fantasia.
Qui, nel regno della fantasia, il pensiero non è pensiero, ma energia plasmante che conferisce forma e sostanza ai desideri, e li modella e struttura per affinità a quel volere creativo che appartiene a ciascun essere, e che ciascun essere esperimenta nel ritorno all'innocenza, la fonte originaria della fantasia.
Ed è in questa verità che affondano le radici altri mondi, la cui unica regola e' la singolarità, ovvero l’assenza delle leggi che ingabbiano la natura fenomenica.
Cosicché' non è strano vedere un ombrello che danza nell'aria e delle nuvole che imbiancano la terra, non è strano poiché' alla fantasia nulla è impossibile ed ogni certezza contraria si frantuma come fosse fragile cristallo.
Le immagini di Eras riflettono questa disposizione quasi metafisica verso realtà che - non più solide e rarefatte - si dischiudono alla percezione oltre l’apparente illusione, rivelando un mondo fantastico e magico, in cui immergersi, finalmente liberi dalle tossine della materia.

di Gino Lom

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                                                                  aprile 2013

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Eras Perani è il nostro Fotografo del mese di Maggio 2013

 

Fotografo del mese di Maggio è un Autore, Eras Perani, dalla straordinaria continuità stilistica, dotato di una presenza discreta ma di grandissimo valore artistico, che ci ha offerto nel tempo moltissime pagine del suo “modus” che per tanti qui su Fc è diventato inconfondibile.

Che siano luoghi metafisici, o ritratti dai particolari rivelatori, paesaggi sconfinati dove percepire il suono di un silenzio ancestrale, oppure quadri di scene quotidiane in cui vecchi e bambini hanno movenze e sorrisi strazianti, o che sia un colore soffuso e morbido il protagonista assoluto, o un b/n evocatico, dalle tonalità calibrate e delicate come versi di una breve poesia, la Fotografia di Eras Perani non lascia mai indifferenti.

Non è essa stessa mai indifferente ad un mondo che i suoi occhi rivelano nella dimensione di un “altrove” posizionato tra mente e anima, dai tratti sfumati in una visione magistralmente modulata con la tecnica di chi sa usare il linguaggio qui affascinante e sorprendente della fotografia.

Dice di sè: “Credo di essere un visionario e sono convinto che lo “sguardo incantato” è sicuramente un valore aggiunto per chi ha la nostra passione”, e continua a raccontarsi qui, nella sezione a lui dedicata, spiraglio socchiuso su un mondo interiore a tratti magico, a tratti sorprendentemente vero.

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20 aprile 2013

I have a dream - gli impalpabili

 

... e nel  silenzio,  a volte meditativo,  a volte contemplativo, nasce il sogno  di Eras, che muove da dentro e si espande come un invito a noi, a compiere il nostro personale viaggio in questa sua dimensione.
Un sogno dalle tonalità chiarissime  che si respira, e diventa la coscienza dei luoghi, che sussurra storie, in una spirale in cui ognuno di noi viene avvolto.
Ogni  fotografia è capace di comunicare agli altri le voci di dentro dell’Autore, anche quelle più nascoste e al contempo consente a chi osserva di percepire le proprie.
Lui cerca, visualizza, costruisce uno spazio atemporale, affinché chi guarda possa percorrere la propria strada interpretativa, immaginando  altri luoghi di silenzio e anima.
Un percorso  tracciato con l’inchiostro incorporeo della luce, attraverso un alfabeto che oltrepassa la ragione e lambisce zone irrazionali e sensibili del cuore.
Come in certe affollate solitudini che  solo l’occhio del viaggiatore riconosce e coglie nella loro dissimulata evidenza.
Eras spinge  il visibile nell'invisibile, recupera  quella bellezza dell’assenza che ha la voce dell’io,  attraverso un processo di propria e intima immaginazione.
Allora le emozioni affiorano in superficie, e nella inquadratura, nella  “esclusione del resto “ trovano il loro approdo.
Il segno  di queste fotografie diventa l'incipit  di una storia intrecciata tra realtà e sogno,  un "altrove", così lontano eppure così vicino.
Paesaggi che si addentrano, immagine dopo immagine nell'intricato territorio dell’immaginifico.
Linguaggio visivo poetico e complesso, nostalgico e introspettivo. Ogni fotografia è un lemma di una lingua universale.
Un b/n svestito di qualsiasi retorica,  mediato da occhi profondi,  diventa  poesia di pochi versi, un Haiku di antichissima memoria,  una alchimia di pochi tratti che materializzandosi nella stampa diventano senso: la bellezza, qui raccolta intorno a un fulcro silenzioso, dialoga con i nostri sensi, con il linguaggio dell’ anima ... eppure sono pochi, semplici segni ...

di Lucy Franco

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 PASSIO   

 

                                                   29 marzo 2012 - di G.B. Gherardi

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Una mostra «quasi fotografica», un progetto che racconta per immagini un percorso umano e spirituale. È stata inaugurata sabato 31 marzo alle 17.30 nella ex chiesa di Santo Spirito a Casnigo la mostra «Passio» che propone 21 opere di Eras Perani, fotografo locale che si definisce raccontatore d'immagini. 

«È stata un'esperienza particolare - spiega Eras - in un momento particolare. Ho creato le immagini utilizzando fotografie sovrapposte e ad accompagnare la voglia creativa è stata innanzitutto la musica di Andrew Lloyd Webber e il suo Jesus Christ Superstar». La trasposizione del testo evangelico in rappresentazione figurativa non è certo approccio singolare, specie nel periodo pasquale. Colpisce però nel lavoro di Perani lo sforzo di evitare un misticismo preconfezionato, che imponesse al pubblico le emozioni dell'autore. In questo modo si spiega la stratificazione che è somma e non effetto, ma anche l'utilizzo di mezzi elementari e procedure semplici alla portata di tutti per esecuzione e approccio.

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Dal testo evangelico alla sua rappresentazione figurativa: un percorso tracciato e seguito da innumerevoli artisti rincorrendo il filo teso tra fantasie peculiari e creatività assolutamente personali.
Con queste immagini, l'artista trascende la forma mistica, spoglia il testo dai classici parametri liturgici e toglie alla materia ogni orpello che la lega al tangibile … 
Così l'osservatore prova un piacevole senso di disorientamento per poi essere incoraggiato dal titolo stesso dell'opera a spingersi oltre l'immagine, ad individuare e ritessere i filamenti che compongono un volto, una scena, un sentimento, un pensiero e restituire alla figura la naturale forza identificativa e di raffigurazione.
Nella realizzazione delle opere il fotografo non si è servito di attrezzi speciali, filtri o metodi di alterazione dell'immagine ma ha utilizzato mezzi elementari, procedure semplici, tecniche alla portata di tutti, ed è forse questo che sconcerta e suscita ammirazione per le intuizioni e le capacità artistiche.
Al termine del percorso fotografico, l'osservatore non può far altro che prendere atto di come l'arte offra sempre un sentiero in più per giungere alla meta.

di Flavio Moro

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                                                    23 dicembre 2010 - di G.B. Gherardi

 

Particolari che raccontano.
La mostra «Storie … Carezze, tracce del tempo» allestita nella sala polivalente della Fondazione è una galleria di scatti in bianco e nero che indagano i particolari, le piccole attenzioni che accendono umanità e affetto.

Le immagini mettono a fuoco, in un contesto apparentemente «ospedaliero», i piccoli oggetti sul comodino, i peluches su uno scaffale, le bambole terapeutiche abbracciate con amore e pure il vecchio amico quotidiano. «Voglio mettere in evidenza le carezze date e quelle sperate, quelle cercate, quelle strappate e quelle interrotte. È un progetto che covavo da tempo – spiega Perani –, per sottolineare come sia tempo di offrire maggior considerazione ai nostri anziani. Voglio parlare della vita che hanno "dentro", che si percepisce stando con loro, lontani dalle frenesie del quotidiano».

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L’obiettivo che scruta dalla soglia di una stanza e ruba istanti di vita di un’età senza mezze misure.
L’obiettivo che coglie i volti dei nostri anziani, sorpresi nella loro spontaneità, volti segnati dall'esperienza, volti con una storia alle spalle, volti che, in fondo, hanno ancora una tenace voglia di vivere.
Eras ha profuso fantasia e capacità tecniche per produrre immagini che danno voce ad un mondo spesso ignorato e sopraffatto dalla convulsa civiltà dell’avere. Attraverso queste immagini, gli anziani raccontano delle debolezze e delle grandezze della vita umana, del vivere lento in un mondo complicato, quasi naufraghi nel mare della fretta. Ma c’è una mano a cui aggrapparsi, una mano che si posa sulle rughe del volto nell'atto di una carezza, e sono due cuori a gioire.
Il percorso fotografico vuole condurci per mano verso una profonda riflessione di vita e ci invita a guardare l’immagine come fosse un riflesso che afferma una verità: gli anziani sono il nostro specchio.
Così, forse, possiamo smettere di avere paura di noi stessi.

di Flavio Moro

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